Il problema della conoscenza nella Critica della ragion pura
Il problema della conoscenza nella Critica
della ragion pura
Pagine 452-457
La riflessione
gnoseologica di Kant. Esso tratta l’argomento nella Critica della ragion pura,
in cui sottopone a indagine rigorosa le facoltà conoscitive dell’uomo,
arrivando a definirne il funzionamento e il campo legittimo di applicazione.
L’esito della sua ricerca, rappresenta una vera e propria rivoluzione
teoretica, ponendosi come punto di riferimento imprescindibile per la filosofia
successiva.
L’esame critico della ragione
Secondo Kant, la filosofia non
dispone di un criterio per distinguere inequivocabilmente il vero dal falso,
l’apparenza dalla realtà, diversamente dalla scienza che possiede un metodo
rigoroso e affidabile. La domanda da cui muove l’indagine kantiana è dunque se
sia possibile, e in che modo conferire alla metafisica il carattere della
certezza e oggettività proprio della scienza. A tal fine Kant sente il bisogno
di spingere più a fondo la sua analisi, sottoponendo a esame critico le stesse
strutture logiche della conoscenza, a cominciare dalla fisica e dalla
matematica, ai suoi occhi le più sicure e affidabili. Adoperando un linguaggio
giuridico, arriva ad affermare che demanderà tutta la questione a un tribunale,
il tribunale della ragione, il quale, dopo un regolare processo, dovrà chiarire
possibilità e limiti della conoscenza umana. La ragione dovrà indagare
essenzialmente due aspetti: 1) le fonti da cui la ragione medesima può
legittimamente derivare le sue nozioni 2) l’estensione e i confini del suo
raggio d’azione. La critica della ragione, è dunque un’autocritica in cui la
ragione è giudice e imputato allo stesso tempo. La sola garanzia che il
processo sia equo, dipende dal fatto che essa rispetti le leggi razionali,
eterne e immutabili, iscritte nella stessa natura umana.
I giudizi del sapere scientifico
Kant procede dunque ad analizzare i
fondamenti e i principi della matematica e della fisica, ossia del sapere
scientifico certo e sicuro, partendo dai suoi elementi di base: i giudizi. Le
proposizioni della scienza, sono dette “giudizi”, perché costituite da un
soggetto e un predicato. Kant afferma che ci sono due tipi di giudizi, i
giudizi analitici e i giudizi sintetici. I giudizi analitici sono quelli in cui
il predicato è già contenuto nel soggetto, come nell’esempio “tutti i corpi
sono estesi”, in cui “l’estensione”, è già parte integrante del concetto di
corporeità. Si tratta di giudizi rigorosi, ma a priori, nel senso che il loro
contenuto non deriva dall’esperienza; essi sono dotati dei caratteri della
necessità e universalità, ma sono privi di novità, perché il predicato non
aggiunge nulla di nuovo al concetto implicato nel soggetto. I giudizi sintetici
invece, sono quelli in cui il predicato offre un contenuto informativo nuovo,
come nell’esempio “i corpi sono pesanti”; in questo caso l’attributo della
“pesantezza”, non è già contenuto nel soggetto, ma deve essere dimostrato. Nei
giudizi sintetici, abbiamo un’estensione della conoscenza, ma non la garanzia
della sua necessità e universalità, poiché si tratta di giudizi che dipendono
interamente dall’esperienza: essi sono, infatti, a posteriori.
I giudizi sintetici a priori
Kant, si dichiara insoddisfatto sia
dei giudizi analitici a priori, sia dei giudizi sintetici a posteriori: i primi
pur essendo universali e necessari, non consentono di progredire nella
conoscenza e sono pertanto “infecondi”; i secondi, benché apportino nuove
informazioni e siano dunque “fecondi”, non garantiscono la necessità e
universalità della conoscenza. Il filosofo osserva però, che esiste un terzo
tipo di giudizi, che definisce <<sintetici a priori>>. Si tratta di
giudizi di cui si serve la scienza newtoniana, in cui il rigore matematico (necessità
e universalità), si coniuga con l’incremento della conoscenza derivante
dall’esperienza (novità). Si consideri, ad esempio, la proposizione “tutto ciò
che accade ha una causa”. Per Kant è un tipico caso di giudizio sintetico a
priori: sintetico, perché in esso il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al
soggetto (la causalità); a priori, perché, valendo ovunque e per sempre, non
può derivare dall’esperienza. L’attenzione di Kant, si concentra proprio su
quest’ultima tipologia di giudizi che costituiscono la trama del complesso
tessuto della conoscenza scientifica. Infatti, la matematica e le scienze,
possono definirsi realmente conoscenze valide e proficue, proprio perché
utilizzano giudizi sintetici a priori.
I due aspetti della conoscenza
Come sono possibili i giudizi
sintetici a priori? La tesi kantiana, è che i giudizi sintetici a priori,
attingono la loro validità non dall’oggetto, ma dal soggetto. Secondo Kant
infatti, nella conoscenza, possiamo distinguere due aspetti: quello materiale e
quello formale. Il primo è costituito dalle impressioni sensibili derivanti
dell’esperienza (gli elementi a posteriori); il secondo dalle forme (a priori)
con cui la mente umana ordina tali impressioni. Sono proprio le forme a priori
che garantiscono la validità della scienza: esse rappresentano la modalità
universale e necessaria con cui tutti gli uomini percepiscono e conoscono la realtà.
La “rivoluzione copernicana”
Si tratta di una visione della
conoscenza che implica il ribaltamento dei rapporti tra soggetto e oggetto: se,
infatti, tradizionalmente si riteneva che fosse la mente a doversi adeguare
alla realtà, ricevendo passivamente i dati dell’esperienza, ora Kant sostiene
che è la realtà, che nell’atto conoscitivo si deve adeguare alle facoltà umane
attraverso qui è percepita e ordinata. Consapevole della sua prospettiva
innovativa, Kant afferma di avere operato in filosofia una rivoluzione analoga
a quella che Copernico aveva effettuato nell’ambito dell’astronomia: come
quest’ultimo per spiegare i moti celesti aveva ipotizzato che fosse la terra a
ruotare intorno al sole e non viceversa, così egli nella conoscenza, ha
spostato la l’attenzione sul soggetto, riconoscendo il suo ruolo attivo, e non
solo passivo, nei confronti dell’oggetto. La rivoluzione copernicana
prospettata da Kant consiste dunque nell'ammettere che possiamo conoscere con
certezza le cose solo in quanto esse si presentano a un soggetto che non è mero
ricettore, ma attivo organizzatore dell'esperienza: il soggetto e le sue
facoltà intellettive influiscono sul modo in cui gli oggetti vengono compresi e
concorrono attivamente alla costituzione dell'esperienza conoscitiva. La
conseguenza della “rivoluzione copernicana” applicata alla filosofia, è che
quest’ultima non deve più occuparsi degli oggetti in sé stessi, ma deve
spostare la sua attenzione sugli elementi soggettivi a priori che rendono
possibile la conoscenza di quegli oggetti. È appunto in questo senso che Kant
definisce la sua indagine filosofica <<trascendentale>>.
Il concetto di trascendentale
Kant definisce trascendentale
l’interrogativo su come siano possibili i giudizi sintetici a priori, o, che è
lo stesso, su come sia possibile la conoscenza scientifica. Per quanto l’autore
non adoperi il termine in maniera univoca, tuttavia possiamo ritenere che il
significato principale di “trascendentale” sia il seguente: <<Chiamo
trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto di
oggetti, quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui
questo deve essere possibile a priori>>. Essendo finalizzata all’analisi
delle “condizioni a priori” della conoscenza, tutta la Critica ha una
funzione trascendentale, ossia è una teoria della possibilità a priori della
conoscenza: il trascendentale non indica una dimensione ontologica, una realtà
che sussiste oltre l’esperienza, bensì l’ambito dei presupposti gnoseologici
che rendono possibile la conoscenza e la costituzione del mondo fenomenico,
cioè del mondo così come appare, si organizza e si struttura in relazione
all’uomo. Il criticismo di Kant, non tende ad ampliare il sapere scientifico,
ne è interessato a studiare gli oggetti delle scienze o della matematica, ma
mira a conseguire quella che possiamo chiamare una conoscenza di “secondo
livello”: apprendere quali sono i presupposti teorici del sapere scientifico e
quindi procedere a una sua legittimazione “trascendentale”.
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