Hume e gli esiti scettici dell'empirismo

 

Hume e gli esiti scettici dell'empirismo

pagine 338-348


Davide Hume (Edimburgo 1711-1776) afferma che la conoscenza umana, fondata su abitudini e credenze soggettive, non può raggiungere il grado della probabilità.


La rifondazione della “scienza” dell’uomo

Hume pubblicò Il trattato sulla natura umana il cui scopo principale è quello di disegnare una <<nuova scena del pensiero>>, tesa a cambiare radicalmente l'approccio tradizionale ai problemi filosofici. Si tratta di un insuccesso editoriale; lui acquisterà grande fama per la monumentale Storia dell'Inghilterra, in più volumi.

L'esigenza di sottoporre il pensiero a un esame critico, nasce dalla consapevolezza della fragilità e incoerenza dei sistemi filosofici più accreditati. Bisogna appuntare la riflessione, direttamente sulla natura umana per delineare per la prima volta una scienza dell'uomo di carattere sperimentale (non metafisico), proprio come Newton aveva fatto con la fisica. Si tratta di un compito che Hume giudica più importante e urgente della stessa rivoluzione scientifica, in quanto tutte le altre conoscenze dipendono in un modo o nell'altro dalla natura umana e ad essa si riallacciano. Questa sarà di grande utilità per farci progredire in tutti gli altri ambiti.


Le impressioni e le idee

Hume analizza la conoscenza umana, individuando nella percezione la sua unica fonte. Egli distingue quindi le percezioni in due tipologie, le impressioni e le idee, sulla base del grado di forza e di vivacità con cui si presentano. Le “impressioni”, sono le percezioni nel momento in cui sono attuali, ossia quando colpiscono con maggior forza ed evidenza la coscienza; le “idee” invece, sono le immagini illanguidite delle impressioni. Es: tocco ferro rovente → impressione del dolore; successivamente → immagine del dolore nella mente (l’idea). Le impressioni e le idee dunque, sono frutto delle medesime percezioni, considerate però in tempi diversi. Ne deriva che tutte le idee devono essere ricondotte alle loro impressioni originarie. Se ciò risulta impossibile, bisogna concludere che un'idea è priva di significato. Di questo genere sono ad esempio le idee astratte della metafisica che rappresentano costruzioni arbitrarie senza fondamento.

È su questa base che Hume procede a criticare tutte le idee metafisiche, le quali non sono riconducibili all'esperienza percettiva. Secondo l'assunto humiano, la mente umana dipende sempre e necessariamente dalle sue impressioni.


Il principio di associazione tra le idee

Hume individua due facoltà, la memoria e l'immaginazione in virtù delle quali possiamo conservare nella mente le impressioni e collegare tra loro le idee che ne derivano. La funzione principale della memoria, consiste nel conservare l'ordine e la posizione delle idee semplici mentre quella dell'immaginazione invece, è di stabilire delle relazioni tra le idee operando con una certa libertà e quindi non rispettando l'ordine con cui le impressioni si presentano alla mente. Nonostante l'autonomia di cui gode la mente, le nostre idee si presentano perlopiù organizzate secondo schemi fissi, essa di conseguenza procede secondo il principio di associazione. Questo è considerato da Hume come la <<dolce forza>> che stabilisce quel <<segreto legame>> che unisce le idee. Esso opera attraverso i criteri della somiglianza, della contiguità e della causalità (principio di causa-effetto), è il principio grazie al quale gli uomini possono conoscere e ragionare. Vi è insomma tra le idee una sorta di attrazione.


Le due tipologie di conoscenza

Secondo Hume, possiamo essere assolutamente certi solo di quelle idee che implicano una pura relazione tra idee, cioè che si ottengono derivando un'idea dall'altra, a priori, senza bisogno di ricorrere all'esperienza e che sono dunque dotate di necessità logica. Tutte le verità matematiche sono di questo tipo e sono certe, quando però ci imbattiamo in conoscenze che derivano dalla relazione tra dati di fatto, come la convinzione che domani il sole sorgerà, allora possiamo aspirare solo a un maggiore o minore grado di probabilità. In questo caso dobbiamo ricorrere alla verifica empirica, ad esempio constatando se il sole sorge o non sorge. Le conoscenze riguardanti le relazioni di fatto, sono dunque possibili, non necessarie, e si fondano sul principio di causalità, in virtù del quale possiamo inferire da un fatto un altro fatto.


L’analisi dell’idea di causa

Tutte le conoscenze relative a dati di fatto sono caratterizzate dal principio di causalità che pertanto diventa un nodo cruciale dell'indagine filosofica humiana. L'idea di causa è secondo Hume del tutto particolare: essa non si configura come una pura relazione tra idee, ma rimanda all'esperienza. Se ad esempio metto un dito a contatto con il fuoco, affermo che il fuoco è stato la causa della scottatura. Constatiamo quindi che l'impressione B è contigua o successiva all'impressione A (la scottatura e il fuoco). B si presenta sempre dopo A, di conseguenza la relazione di causa ed effetto, non è nient'altro che la tendenza della nostra immaginazione, coadiuvata dall’abitudine, a proiettare nel futuro ciò che si è presentato con regolarità nel passato. È dunque in virtù di un arbitrario salto logico che siamo portati ad attribuire la nozione di “causa” a un dato fenomeno.

Punti fondamentali dell’argomentazione humiana

l'esperienza attesta la regolare contiguità e successione di due eventi

l'immaginazione, sorretta dall'abitudine, porta a credere che il rapporto sia necessario e che, nel futuro, i due eventi saranno ugualmente collegati

tale legame, tuttavia, esiste solo nella nostra mente, come abitudine soggettiva a collegare un fenomeno A (ad esempio il fuoco) a un altro fenomeno B (la combustione)

la relazione causa-effetto non è necessaria né oggettiva, ma risiede in un'attitudine soggettiva


L’abitudine come fonte di credenza

Hume stabilisce il seguente principio: l'esperienza non può garantire che due fenomeni che si presentano oggi connessi tra loro lo saranno anche nel futuro. Allo stesso modo, essa non può offrire garanzie sull'uniformità del corso della natura, è infatti solo la forza dell'abitudine (ovvero un'inclinazione innata dell'uomo che porta a supporre che le esperienze fatte nel passato e dotate di una certa regolarità debbano ripetersi con le medesime caratteristiche anche in futuro) che ci porta a ritenere che il mondo fisico sia retto da principi universali. Di conseguenza il sapere scientifico può soltanto classificare le regolarità già osservate e fare previsioni probabili. Dall'abitudine nasce la credenza, ovvero quel sentimento naturale che ci spinge a dare il nostro assenso alle impressioni dotate di maggiore forza e vivacità rispetto alle idee. In conclusione, possiamo affermare che agiamo sulla base delle credenze, ma non possediamo certezze; ciò che permette di orientarci nella vita, è un sentimento che ci fa fare ciò, anche in assenza di conoscenze assolute.


La critica all’idea di sostanza

Hume distingue tra “sostanza materiale” (i corpi fuori di noi) e “sostanza spirituale” (l'io o anima). Per quanto riguarda le sostanze materiali, la nostra mente percepisce soltanto le impressioni di singole qualità delle cose, ad esempio della mela che sto mangiando, percepisce che è rotonda, succosa, fresca ecc. L'errore che però commettiamo, consiste nel ritenere esistente la mela come sostanza, mentre non è che una semplice compresenza di singole proprietà. Passando da analizzare la sostanza spirituale, Hume arriva alla conclusione che l'io è ciò che dà unità e ordina le sensazioni. L'io non ha una consistenza propria e ne è prova il fatto che, quando la morte annienta tutte le percezioni di tali ipotetiche entità, non rimane nulla. La stessa inconsistenza, si può cogliere in ciò che viene abitualmente definito “mente”, descritta dal filosofo come un “teatro” in cui le percezioni appaiono e scompaiono come attori di una rappresentazione, ma che non ha di per sé alcuna realtà.


L’assenza di certezze

La visione humiana della natura umana e naturale, implica senza dubbio una conseguenza scettica: per il filosofo, noi non possiamo essere certi di niente, eccetto che delle verità matematiche le quali, essendo costruite per via razionale, sono universali e necessarie. Tutto il resto cade sotto il segno della probabilità. Nonostante la coerenza e radicalità delle sue argomentazioni, Hume attenua la propria posizione ammettendo che per quanto le conoscenze relative ai “dati di fatto” non possano pretendere una certezza assoluta, esse non sono del tutto prive di validità, anzi sono affidabili. Lo scetticismo, viene moderato dalla considerazione che esiste nell'uomo un istinto (alla base dell'abitudine e della credenza), che può fungere da guida nella condotta della vita.


La prospettiva etica di Hume

L'approccio humiano alla conoscenza ha il merito di favorire lo sviluppo di una visione delle cose antidogmatica, flessibile e aperta alla conferma dei fatti. Quello che conta ai suoi occhi, è l’utilità o il danno che la società ottiene, da un determinato atteggiamento degli individui. Lo stesso vale per la giustizia che non si definisce in riferimento a principi assoluti e immutabili, ma la necessità di assicurare un'ordinata convivenza civile. La morale in definitiva, non si fonda sull’intrinseca malvagità del vizio e sulla bontà della virtù, ma sul sentimento sociale che tende a promuovere la virtù, per assicurare la più grande felicità possibile, al maggior numero di persone.

A questo proposito, Hume opera un'importante distinzione tra la sfera “dell'essere” e quella del “dover essere”. Secondo lui è sbagliato pretendere di poter dedurre dal piano descrittivo (particolare o contingente) quello prescrittivo (universale e assoluto); azioni come ubriacarsi per esempio, vengono considerate ingiuste solo se commesse ai danni degli altri, compromettendo il benessere sociale e se non sono giudicate negative in assoluto. Nel campo della morale, è normale ciò che corrisponde alle consuetudini degli uomini, è anormale ciò che le contrasta: il bene e il male non si possono stabilire con procedimenti razionali, ma si giudicano sulla base di principi empirici.

Hume però, ammette l'esistenza di un senso morale, presente in tutti gli uomini, che li orienta verso il bene comune e garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.


L’invito alla moderazione

Hume delinea un nuovo ruolo della filosofia: essa ci esorta a non dimenticare che abbiamo una ragione limitata e che pertanto dobbiamo cercare di evitare il ricorso a espressioni come” è evidente, è certo, è innegabile, che il dovuto rispetto al pubblico ci dovrebbe, forse, proibire”. Un invito questo che possiamo considerare ancora universalmente valido



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