L’empirismo inglese. Locke, Berkeley e Hume

 

L’empirismo inglese. Locke, Berkeley e Hume

 → pagine 294-297


L’importanza dell’esperienza nell’attività conoscitiva dell’uomo

A partire dalla seconda metà del Seicento, si sviluppa in Inghilterra, una tradizione di pensiero, secondo cui la ragione è impotente senza il ricorso all'esperienza e quindi è limitata e condizionata. Tale indirizzo viene denominato “empirismo” e respinge il linguaggio astruso è difficile della tradizione filosofica, per adoperare una forma di comunicazione chiara e semplice, comprensibile dalle persone di buon senso che si accostino alla filosofia senza pregiudizi. In questo, gli empiristi si adeguano al rinnovato clima culturale dell’epoca, caratterizzato dagli sviluppi della rivoluzione scientifica.


La nuova immagine della ragione

Di tale sviluppi, è protagonista indiscusso lo studioso inglese a Isaac Newton che fu considerato il vero promotore del nuovo sapere e della rinnovata immagine della ragione: concreta, attenta ai fatti e limitata dall'esperienza. Newton ritiene necessario evitare le arbitrarie costruzioni teoriche dei metafisici, che contraddicono l'esperienza. Egli insomma, non accetta quelle proposizioni che non sono deducibili logicamente dai fenomeni, e dunque non hanno riscontro nella realtà.


I protagonisti della nuova scena filosofica

L'orientamento programmatico e scientifico che domina il panorama culturale dell'epoca, emerge anche dal fatto che gli esponenti dell'empirismo, non sono filosofi “di professione”: Locke aveva una laurea in medicina, Berkeley era un vescovo e Hume aveva studiato giurisprudenza, senza mai ottenere una cattedra universitaria. Essi si sono mossi alla ricerca filosofica da una finalità pratica: accertare i poteri e i limiti dell'intelletto umano, per trarne vantaggio da ambiti quali la scienza ma anche dai settori della politica, della morale e dell'educazione.



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